Pubblicato da: Galliolus | lunedì, 6 agosto 2012

Ammartaggio

La lingua inglese è semplice, più dell’italiano: spesso accade che una sola parola inglese corrisponda a molte parole italiane, per la gioia dei traduttori che devono ricostruire accuratamente il contesto. Raramente accade il contrario: è il caso della parola italiana “terra”. Posso usare la parola inglese ground, in situazioni semplici come quando mi cade qualcosa per terra; uso land se sono un proprietario terriero, o se amo la mia terra; uso Earth per la Terra, nel senso di pianeta. Un inglese volante atterra usando il verbo to land; al limite può fare un water landing, se atterra sull’acqua. Un italiano volante atterra sulla terra e ammara sull’acqua (non necessariamente sul mare): la situazione è molto complicata anche senza andare troppo lontano.

Mezzo secolo fa alla NASA non ebbero dubbi e si dedicarono a preparare il Moon landing. Qui da noi, dubbi ce ne furono moltissimi: per atterrare ci vuole la terra, ma è necessaria anche la Terra? Si può atterrare sulla Luna? Gli italiani — come sempre fin dai tempi di Guelfi e Ghibellini, o forse addirittura da Orazi e Curiazi — si divisero in due partiti, che potremmo chiamare atterranti e allunanti. Gli atterranti avevano dalla loro un argomento di semplicità: nei prossimi anni raggiungeremo vari corpi celesti, non è possibile inventare una nuova parola ogni volta. Se oggi alluniamo, poi ci toccherà ammartare, avvenerare, aggiovare… e quando finalmente saremo applutonati, nuove sfide si apriranno davanti al nostro indefettibile genio. Provate a pensare ad una puntata di Star Trek scritta con questo criterio e darete loro ragione. Dall’altra parte, gli allunanti rispondevano che il Rubicone era già stato passato con l’ammaraggio: se non sempre si atterra, neanche sulla Terra, come possiamo pretendere di andare ad atterrare sulla Luna? Come è possibile che questi astronauti vadano ad atterrare così lontano, se poi gli toccherà ammarare per tornare a casa? È una cosa nuova, ci vuole una parola nuova.

Per fortuna, a nessuno venne in mente che il luogo preposto all’allunaggio sarebbe stato il Mare della Tranquillità. Che parola usare per un mare lunare?

Io allora non presi posizione — a parte la posizione “occhi in alto e bocca aperta” di ogni piccolo astronauta — ma è un fatto che allora vinsero gli allunanti. Oggi vorrei solo mantenere un po’ di coerenza, per cui tutta questa premessa mi serve solo per dire che un paio d’ore fa Curiosity è felicemente ammartato, con buona pace di tutti gli atterranti che ultimamente sembrano aver preso possesso delle redazioni. Come potete pensare di chiamare atterraggio questa cosa qui? È una cosa nuova, ci vuole una parola nuova. Anzi, siccome siamo nel 2012, ci vuole anche un profilo Twitter dal quale inviare qualche foto, come questa:

curiosity

Ringrazio i ragazzi della NASA, che ancora una volta hanno compiuto un’impresa eccezionale. For all mankind.

Aggiornamento (2012-08-12): La diàtriba — o diatrìba? — prosegue su Cronachesorprese e su Terminologia etc..

Aggiornamento (2012-08-20): Anche Ricco&Spietato prende poeticamente posizione.


Risposte

  1. È sempre un piacevole spettacolo il compiersi di queste opere. Certo, l’allunaggio dell’uomo in carne ed ossa rimarrà insuperabile finché non ci saranno missioni con astronauti veri ma per ora possiamo pur accontentarci di esploratori elettromeccanici multiaccessoriati. Anzi, per questo rover particolare sono più che semplicemente contento: percepisco una punta d’orgoglio. Un fisico nucleare come il sottoscritto non può che essere orgoglioso di una sonda alimentata da una pila nucleare. Con buona pace dei “solarini” amanti dei pannelli, con ogni istante della sua vita Curiosity fa vedere che per grandi imprese ci vogliono grandi sorgenti energetiche. Senza pila nucleare non sarebbe stato possibile mandare un rover così GRANDE fin su Marte.

    Saluti Marziani,
    Intricato Speciale

  2. Carissimo Intricato, sono contento di rileggerti. Quando riparte il tuo bel blog?

  3. come hai detto giustamente nel commento “da me“, su io, ganimede e altri satelliti non attereremo, ma alluneremo. come probabilmente atterreremo sui pianeti, e chiamarlo atterraggio sarà in fondo una strategia per tener viva una speranza: il sogno di sbarcare un giorno lontano su un pianeta simile alla terra. questa tua precisazione mi ha aiutato a mettere a fuoco che cosa davvero non mi torna negli argomenti degli “allunanti” che oggi vengono ripresi dagli “ammartanti”. in realtà non è vero che il passaggio logico decisivo è già stato fatto con l’ammaraggio. e nemmeno, a ben vedere, con l’allunaggio. mare e luna sono perfettamente iscritti nell’esperienza umana quotidiana. il mare senza dubbio; la luna un po’ più da distante, ma anche lei è da sempre presente da protagonista. certo anche marte, venere e altri pianeti sono visibili, ma non dall’osservatore comune, che li vede come punti luminosi uguali alle stelle. quindi forgiare parole dedicate a un contatto “speciale” con il mare e con la luna non è strano e non è percepito come capriccio linguistico. l’ammartare invece lo trovo straniante perché non ho nessuna esperienza normale, quotidiana di marte. me ne occupo solo grazie a una mediazione scientifica o tecnologica. di marte ho solo un’esperienza “mediatica” per così dire, della luna no, ho un’esperienza sensibile con implicazioni affettive e culturali molto ben connotate. per questo, mi sembra, non sento l’esigenza di trovare una parola nuova per descrivere il contatto con marte. o meglio, posso sentire l’esigenza in un ambito scientifico, di linguaggio settoriale. quelle parole che usano gli addetti ai lavori, insomma. trovo arduo pensare che possa esserci con l’ammartare un legame affettivo uguale a quello che c’è stato, per noi bambini del 1969 e delle missioni apollo dei primi anni 70, con l’allunare. spero di essermi spiegato: ho scritto anche per chiarire a me stesso :-)

  4. […] by Ammartaggio « La realtà non mi ha mai tradito — 12 agosto 2012 […]

  5. È vero quello che dici sull’esperienza che facciamo della Luna, e ancor di più sull’irripetibile legame affettivo tra la nostra generazione e le missioni Apollo. Però è anche vero che Marte non è un pianeta come gli altri: è il protagonista assoluto delle nostre fantasie spaziali, almeno dai tempi della vicenda dei canali di Schiaparelli, passando per Edgar Rice Burroughs e Ray Bradbury. Pensa alla ricchezza di significato della parola marziano.

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